Autori
Franco Ferrarotti
VARIAZIONI SU DARIO SERRA
I
Povertà delle distinzioni scolastiche: scienza, da una parte; arte, dall’altra. L’estro di sfrenata
delicatezza di Dario Serra travolge le munitissime paratie stagne della cittadella accademica,
ne mostra tutta la vulnerabilità. Si conosce con la mente e con il bassoventre. Solo l’uomo integro,
l’essere umano completo può essere soggetto di conoscenza. Così, in serra, il vedere,
il leggere “dentro” – in-sight, intus-legere – conduce al recupero dell’intelligere umano contro
l’intellettualismo (sarà pulito, ma è la pulizia del cranio spolpato). Dall’emergere oscuro,
faticoso dell’ameba primordiale, come dagli inizi aurorali della consapevolezza in cui mito e ragione
appaiono con-fusi, al recupero della linea-in-dicazione univoca-freccia-punta acuminata che buca il
muro mobile del sonnambulismo quotidiano.
II
La scienza contemporanea premia la vista, l’occhio rafforzato, cioè mediato, servito
(ma anche, dunque, as-servito) dalla macchina. I dati non si toccano, gli oggetti nuotano in un
libico acquario. In contatto è indiretto, reso possibile dalle registrazioni meccaniche.
Acuità visiva contro immediatezza manipolativa. L’obsolescenza della mano. La disoccupazione
tecnologica dell’olfatto. L’inutilità dell’udito nel mondo felpato dei calcolatori. L’effetto
ottundente del brusìo uniforme. L’occhio attrezzato può anche vedere tutto, ma solo a distanza.
Separatezza e ansia. Asetticità. Dietro le lenti spesse dell’uomo contemporaneo, si agita lievemente
il suo occhio smarrito, sbattono le palpebre - farfalle trafitte – mai protette a sufficienza.
Qui trionfano l’acutezza della miopia, una forma di conoscenza che paga con il distacco e l’immiserimento
emotivo i suoi successi, l’asessuata insicurezza che si lega necessariamente al terrore della
contaminazione manuale. Per questo tipo d’uomo dimidiato il sistema logicamente chiuso è nello stesso
tempo prigione e zattera di salvezza.
III
Attraverso il recupero della fisicità – vale a dire della materia viscerale dilagante apparentemente
amorfa, in realtà obbediente ad una logica più profonda di quella formale, alla logica del vivente –
si va oltre la scissione fra carne e spirito, oltre il dualismo cristiano di anima e corpo. Si ricompone
l’unità profonda del vivente come punto d’incontro fra conoscenza ed esistenza: conoscenza nel senso
pieno del biblico agnoscere – conoscere come possedere -; esistere come emergere dal fegno mitico delle
madri (ex-sisto), come processo di individuazione, segnica e ontologica, dall’indistinto dei premevi.
Così che amore e conoscenza, vivere e sapere, agire e contemplare siano nuovamente riuniti nella sintesi
vitale che fu già il segreto della Grecia classica, prima della fase storica in cui caduta e colpa
costrinsero amore alla vita randagia e alla lotta clandestina.
IV
Fra i paradossi della natura (ma esiste la natura?) è notevole questo: la necessità del superfluo.
Il lungo errare di Ulisse uomo molteplice perché completo (polùtropos), ingannatore e fedele a un tempo
fino alla fine, eroe senza gloria, campione d’una morale dell’ambiguità. Ma in primo luogo, uomo virtuoso,
nel senso del grande Macchiavelli, “forte” (vis – vir- virtus), ossia capace di reggere il peso
dell’incertezza normativa, di non cedere all’astratta precisione dei tecnici della regola, di non aver
bisogno di dogmi su cui sonnecchiare come su di una poltrona. Le geometrie di Serra mostrano qui la
ragione dei loro inquietanti arabeschi: il viscerale è solo parzialmente inscritto nel cerchio.
La conclusività è rimandata a domani e a dopo-domani. È una promessa-limite, cioè una promessa
costantemente rinnovata e mai mantenuta.
V
La necessità del superfluo. Il movimento (apparentemente) gratuito è in realtàà il piùorientato.
Questo straordinario ménage à trois (la ballerina, il nano, il contorsionista) offre suggestioni e
istruzioni di vita di rara potenza. L’orpello ha cacciato l’essenzialità. Attraverso un calligrafico,
crudele processo riduzionistico Serra ci restituisce, dalla descrizione socio-fotografica, spogliata
d’ogni buccia superflua, il girino originario: dalla figura scomposta il segno vitale puntiforme,
la goccia di sperma, il seme-uomo. Ed eccoci, riscoperti nella miseria quotidiana di condannati ad
una vita che non vive, a morire prima d’essere completamente nati, condizionati, presi nelle maglie
anonime delle indicazioni segnaletiche. Viviamo prigionieri, più o meno docili, di una rete di linee,
frecce, segni, segnali. Serra spezza la linea, senza mutilarla. La linea, interrotta come un sentiero
heideggeriano, resta aperta su possibilità indefinite, e quindi infinite.
VI
Come un serpente diafano o un corno, un immenso shofar che si auto-riproduce, da una stanza
all’altra, potente e lento nel suo ruminante, inesorabile dinamismo bradisismico, come un albero a
gomito dell’assale di un’auto o una strada di campagna coperta dalla polvere finissima di tradizioni
dimenticate o come un lungo colon spastico, così la pittura di Dario Serra corrode la certezzameccanica
dei sistemi chiusi, de-dogmatizza le fedi indossate per abitudine come abiti confezionati in
serie per tutti e per nessuno. Semina il dubbio nel suo lieve, sinusoidale procedere.
A colpi di fioretto. Con un polso pericolosamente sciolto. Predica l’accettazione dell’involontarietà
del pensiero, l’indeterminazione, l’imprevedibilità. Unisce insieme la gioia infantile della sorpresa e la riduzione all’essenziale.
VII
Esige dunque abbandono e sicurezza. Sono le condizioni per affrontare il rischio,
l’avventura del vivere ed entrare nel labirinto, di là dal facile ottimismo degli schematismi
storicistici che bloccano gli ésiti, scontandoli in anticipo. Contro il progresso come a-problematica
fatalità cronologica. Nessun diacronico procedere necessitato, ma solo la conoscenza come impresa umana
esposta alla regressione e allo scacco. Il labirinto si ripete, si avvita su se stesso. Ma dov’è il filo
d’Arianna. Nessuno può dire di possederne il capo in anticipo. Il labirinto è insieme oblìo e
approfondimento. Richiede distacco e coraggio, forse anche irresponsabilità. È la cantilena della
nutrice e insieme la riflessione assorta. Significa il riconoscimento della irriducibilità degli esseri
umani, della loro indefinibilità. La possibilità che dietro ad ogni curva si apra il baratro o la
salvezza. Così ogni uomo, in ogni istante, compie un gesto che lo salva o lo perde.