Autori
Igor Pulcini
LABIRINTO
“…un luogo per la danza simile a quello che
Dedalo, nell’ampia Cnosso, inventò e costruì
per Arianna dai bei capelli”.
Omero
Labirinto è pittura che eccede nello spazio e nel tempo, non è edificio premeditato, è
lo straripamento della pittura che lo genera; l’artista si ferma, indietreggia, osserva e chiama Labirinto
il risultato di quell’eccesso: Labirinto è la libera invasione dello spazio e del tempo attuata dalla
pittura di Dario Serra.
Gli elementi, i materiali, gli strumenti e la tecnica che lo formano, sono tutti sintonizzati sulla costanza
di un segno e connessi alla pratica della disappartenenza.
La sinusoide è questo segno costante. I materiali sono smalto nero e lacca: definiscono il luogo
umido del nero e della velocità in cui la pittura si manifesta per sottrazione e non conosce altro
limite che l’aria che la immobilizza.
Smalto nero e lacca stimolano la fabbricazione e l’uso di nuovi strumenti tattici, l’invenzione di altre protesi
grafiche e la messa a punto di vasti repertori di impronte, umane e manufatte, da impiegare in gesti istantanei.
La pittura, pervenuta alla condizione tattile di neutralità nera umida, è spazio di virtualità dilatata,
pronta alla forma: ora altri agenti possono intervenire e manifestarsi segnali estranei alla mano dell’artista.
Tecnica della nolontà ricettiva, istruisce l’artista su itinerari di disappartenenza: prevedere, non fare,
subire, far fare; introduce procedimenti aleatori e l’alea pura, include eventi che si possono scatenare ma di
cui non si conosce lo svolgimento né l’esito.
Del lavoro non vi è più traccia. Il lavoro dell’artista nel senso di produzione progressiva di idee,
di esperimenti, di manufatti, è tempo remoto, substrato che permette ora l’azione artistica di manifestarsi
nell’invasamento immediato del gioco; e il gioco trascorre ora in uno spazio aperto, in cui le azioni che vi
avvengono simultaneamente sono tutte visibili nel loro svolgimento, Il Labirinto, che è stato enigma,
fabbrica pulsante, è divenuto danza: si realizza nell’immediatezza.
Labirinto innesca l’oggettivazione di un sito del nomadismo e dell’occhio costantemente ridefinibile sia nel suo
invaso interno, sia nei suoi rapporti con l’esterno, con i contesti spaziali e monumentali ospitanti.
Disegna percorsi fluidi a cielo aperto, sempre comunicanti con l’esterno; è spazio pubblico di
deambulazione, di ascolto, di incontro, di erranza e percorrenza conoscitiva: è connesso con il suono,
la luce, la danza; con l’intorno.
Labirinto è un luogo mutante che si dota costantemente di nuove funzioni, che si offre al pubblico in
maniera sempre diversa: è insieme teatro, luogo in cui si guarda, e pinacoteca; transita da segno a scena,
a suono: motore e contenitore di eventi spettacolari e riti collettivi.
Per sua natura di aggiungere, sottrarre, permutare, flettere, sconnettere, Labirinto postula l’infinitezza:
la rende praticabile.